venerdì 7 agosto 2015

Il Beato Salvatore Lilli da Cappadocia. Ricerche e articolo di Mario Cosciotti

NATO IL 19 GIUGNO 1853
MISSIONARIO IN TERRA SANTA, UCCISO PER LA FEDE A MUGIUK-DERESI (ARMENIA MINORE) IL 22 NOVEMBRE 1895
 
Padre Salvatore Lilli nacque a Cappadocia, (paese di montagna a 1100 metri di altezza che alla fine del 1800 contava 3.800 abitanti circa), in provincia dell’Aquila, il 19 giugno del 1853, ( da Vincenzo Lilli di Salvatore morto il 23 novembre 1874, a 61 anni ) e ( da Annunziata Lilli di Benedetto morta il 12 luglio 1886, a 72 anni ). La sua era una famiglia molto religiosa infatti sua madre che era piccola di statura, veniva chiamata (ciuchetta la santarella). Era il sesto e l’ultimo dei figli, fu battezzato nella chiesa di San Biagio il giorno stesso della nascita. Ogni anno il piccolo Salvatore a cavalcioni su di un cavallo, dietro suo papà, ai primi di aprile varcava i monti Simbruini per scendere verso la pianura romana dove la famiglia svolgeva la propria attività, ivi sostava sino a novembre, quando faceva il viaggio a ritroso. Nello scendere i monti o nel risalire verso il paese nativo, era d’obbligo una sosta al santuario della SS. Trinità di Vallepietra. I suoi fratelli si chiamavano Severino, Giovanni e Attilio; le sorelle Maria Pia e Caterina . La sorella Maria Pia primogenita, si fece sposa di Gesù tra le suore Trinitarie esistenti in Cappadocia, ritenendo il nome di Suor Maria Pia; Al piccolo Salvatore piaceva molto cavalcare e ben volentieri scorazzava per i prati lanciando a corsa sfrenata la sua giumenta; molto spesso aiutava i fratelli a trasportare legna e carbone dal bosco al deposito in paese. Ma un giorno, mentre il fratello Severino preparava i cavalli per la trebbiatura ( la trita ) nei paesi della Marsica, quando andò a chiamarlo per la partenza, si sentì rispondere: << partite pure caro fratello io non posso seguirvi perché debbo studiare per farmi religioso>>. Salvatore segui l’esempio della sorella, e ai primi di luglio del 1870, il giovane si presentò al P. Provinciale di S. Francesco a Ripa a Trastevere in Roma per entrare nell’Ordine Francescano. Partì alla volta del convento di Nazzano di Roma, dove fece il noviziato. Vestì l’abito di S. Francesco il 22 luglio 1870 e ne professò la S. Regola il 6 agosto 1871, promettendo di ‘’ osservare la regola di S. Francesco, vivendo in povertà, obbedienza e castità.’’ Il nostro novizio-chierico verso la fine di agosto del 1871, giunge a Castelgandolfo e poco dopo inizia il corso filosofico. Alla fine del 1872 per non interrompere gli studi ed arrivare al sacerdozio cui aspirava con tutto l’ardore del suo cuore, senza presentarsi al distretto dell’Aquila per il servizio militare, fece domanda di recarsi in Terra Santa e dopo aver salutato i suoi a Nettuno, partì per i Luoghi Santi della Palestina. ‘’ 23 gennaio 1873: Partono da questo convento S.Francesco a Ripa e si recano a Gerusalemme i chierici fr.Salvatore da Cappadocia e fr. Gaspare da Collepardo; fr. Agapito da Palestrina laico, li accompagna a Venezia. Dopo un viaggio durato più di un mese raggiungono finalmente Giaffa e dopo Gerusalemme. Da quì si trasferisce a Betlemme per la ripresa degli studi, comprese le lingue l’arabo, il turco e l’armeno. Il 13 giugno 1877 i religiosi festeggiarono il 50° anno di sacerdozio di P.Lucio Zorgos; per quella ricorrenza fr. Salvatore compose una bella poesia ("Tarantella") che recitò in pubblico ricevendo complimenti e applausi:


Oggi che Lucio si rinnovella, Che gl’incorona la bianca testa
vorrei fare n’a tarantella, e tutto quanto lo tiene in festa.
e perché è membro del Discretorio In questo giorno il suo bel viso
volea dirla in refettorio; sembra un angelo di paradiso;
stante il silenzio ivi per segno, Della vecchiaia il grave peso
mi parve strano questo disegno. Pare non sente che è tutto inteso,
Ma nel divano che regna il brio, a dare sfogo al cuore ardente
è loco adatto pel mio desio. Quale da gioia rapir si sente.
E perciò presto la mano all’ opra Già lo dimostra al superiore
pongo ridente, e si discopra, e a Secondo Procuratore.
del core mio il gran contento quindi al Padrino e gli assistenti
pel sommo gaudio pel grato evento che il servirono très bien contenti
che in questo giorno al Padre Santo ai sacerdoti de sto divano
riempie l’alma e allegra tanto che lo additano per lor decano.
son dieci lustri che fra l’incerto Più che fratelli ed io a cantare la
corre giulivo a torre il serto. Tarantella.


Il 19 settembre 1876 ricevette l’Ordine del Suddiaconato e il 18 settembre del 1877 l’ Ordine del Diaconato. Finalmente il 6 aprile del 1878 dal patriarca di Gerusalemme Mons. Bracco, ricevette l’ Ordinazione Sacerdotale ( te es sacerdos in aeternum ) tu sarai sacerdote in eterno.
Padre Salvatore scrive alla sorella Suor Maria Pia e la rende partecipe della letizia del suo cuore e la commozione per l’evento desiderato e aspettato con ansia: ’ Vi notifico dunque che il giorno 6 aprile avrò la bella sorte di essere annoverato tra i Ministri del Signore col essere solennemente ordinato Sacerdote, e che più posso io desiderare, se ormai sono raggiunti i miei voti ? Ah sì che ne provo una stragrande consolazione ! La quale poi si raddoppia per più ragioni. Prima di tutto per la grazia singolarissima di essere stato innalzato a tanta dignità…; Secondariamente poi, perché offro quel Sacrificio nel luogo stesso ove fu compiuto. Chi ha cuore giudichi, se più propizia poteva essere la circostanza….’’ Il giorno dopo il Beato aveva la grazia di celebrare la S. Messa sull’altare del monte Calvario, il luogo dove Gesù celebrò il sacrificio cruento della sua vita per la nostra salvezza. Al pio e generoso giovane, solo in tanta festa e letizia, non potevano non mancare i suoi parenti, fratelli e sorelle lontani e assenti, pensava con nostalgia a quel giorno in cui facendo ritorno in patria avrebbe potuto celebrare la S. Messa con loro e per loro, nella chiesa nativa di S. Biagio a Cappadocia; ma quel giorno era ancora molto lontano. Dopo il duplice tirocinio nei conventi di S. Salvatore e del S. Sepolcro in Terra Santa, P. Salvatore giovane e forte fu destinato alla missione di Marasc in Turchia con la qualifica di ‘’ missionario apostolico’’. Per questo apostolato aveva dovuto faticare non poco per imparare la lingua turca, quella armena e quella araba che gli furono di grandissimo aiuto nel parlare con le autorità locali e nelle relazioni con altri confratelli cristiani e mussulmani. In questo inizio di vita di missione potè realizzare opere ed iniziative di rilievo grazie al suo carattere gioviale ed aperto verso tutti. L’efficacia della sua parola produsse un grande risveglio religioso tra i cattolici di Marasc: introdusse nuove Sacre Funzioni come : ( Il Pio Esercizio della Via Crucis), ( il Mese di Maggio), ( la recita del S. Rosario e il Presepio ). Padre Salvatore diede l’incarico di acquistare tutto l’occorrente per un presepio a fra Giacomo da Cercepiccola che doveva tornare in Italia. Di ritorno fra Giacomo portò con se casse contenenti : Angeli, Re Magi, Pastori, pecore ecc.. Quando aprimmo le casse, il P. Salvatore tutto contento esclamò : Quest’anno faremo un Natale solennissimo…non resterà un Marasciotto senza venire a visitare il Presepio e così fu; centinaia e centinaia di persone, ricchi e poveri, cristiani e turchi, da tutti i quartieri di Marasc accorsero a vedere Betlemme, questo fu il nome popolare che si diede a quel Presepio. Finalmente nell’estate del 1885 il suo desiderio di tornare in Italia per festeggiare la sua ordinazione sacerdotale con i suoi cari fu appagato; s’imbarcò su una nave dal porto di Alessandretta costeggiò Cipro e Creta e fece vela per l’Italia ove, dopo più di un mese approdò a Napoli, poi sempre via mare, giunse a Nettuno dove potè riabbracciare i cari fratelli, che aveva lasciato 12 anni prima per seguire la sua vocazione; l’incontro con le persone care commovente. Arrivò poi a Roma nel convento di S.Francesco a Ripa che trovò occupato da un reggimento di bersaglieri. Ai primi di agosto del 1885 lasciò Roma e risalendo le montagne che portano in Abruzzo, il 13 agosto raggiunse il paese natio Cappadocia e potè così sciogliere il voto del cuore: celebrare la S. Messa nella chiesa di S. Biagio, dove era stato battezzato e dove tante volte da bambino aveva servito la messa. Per la festa dell’ Assunta cantò la Messa Novella. Fu una giornata memoranda che richiamò intorno al giovane P. Salvatore tutto il paese. A tavola con le pietanze succulenti si moltiplicarono i brindisi e gli applausi al sacerdote novello dalla barba fluente. Il giorno dopo egli si recava al cimitero per pregare sulla tomba del padre. Ma la festa fu interrotta dal maresciallo dei carabinieri di Cappadocia, che ricordandosi di un mandato di cattura per renitenza alla leva, si presentò in casa Lilli. Il 18 agosto di buon mattino accompagnato dal fratello Attilio saliva a cavallo e si recava dal Pretore di Avezzano per giustificare la propria assenza. Come raccontò il fratello, P.Salvatore da se stesso fece la sua difesa: << Signori del tribunale, sappiate che io non sono stato un disertore, ma un Missionario di Cristo, che ha portato in terra straniera il lume del Vangelo e della civiltà. Di più sono stato un propagatore d’Italianità nella Terra di Levante, come ne può far fede il Regio Console in Aleppo, Sig. Enrico Vitto, gloria del nostro Abruzzo forte e gentile. Voi pertanto, volendo punire me, punite uno che ha illustrato il nome d’Italia, e diffuso l’Italiana Favella in Oriente>>. Dal tribunale di Avezzano fu assolto, ma quella che doveva essere una formalità, fu una causa che impegnò P. Salvatore quasi un anno con processi lunghi fino all’appello che terminò con una condanna a tre anni di carcere con sentenza del 28 ottobre 1885. Poi giunse la grazia, inviata tramite Menotti Garibaldi figlio del grande Garibaldi al Re Umberto che concesse il condono della pena con decreto del 17 giugno 1886. Nella sosta forzata a Cappadocia egli imparò a fare il sarto, il calzolaio, e il muratore ma anche a condurre e dirigere un’azienda agricola, osservando quanto si andava realizzando nella bonifica del lago Fucino che prosciugato nel 1875; Nel suo alveo in quel periodo venivano impiantate aziende agricole modello con sistemi di avanguardia; così quando tornò a Marasc in Turchia, aveva accumulato un forte bagaglio di utili esperienze pratiche. P. Salvatore insensibile a ogni lusinga per restare in patria, ai primi di luglio del 1886 tornò a Roma nella chiesa di S. Francesco a Ripa, celebrò una S. Messa e poi salutati parenti ed amici, si avviò verso Napoli ove s’imbarcò per l’Oriente con meta Giaffa. Dopo un viaggio disastroso a causa di una violenta tempesta, giunse in porto e dopo qualche giorno arrivò a Gerusalemme ove potette riabbracciare compagni e i superiori che informò del ritardo, accumulato dalla causa di renitenza alla leva. Prima di ripartire per la missione di Marasc, il beato volle celebrare la S. Messa nella cappella detta del’ latte ‘’ a Betlemme, ove il 6 agosto del 1874 aveva consacrato la sua vita all’ideale francescano. Poco prima del Natale 1886, il nostro raggiungeva Marasc ove, dopo 18 mesi d’assenza, riprendeva la vita di missionario. Nelle molte lettere che da Marasc il P. Lilli scrisse alla sorella suor Maria Pia, affiora il ricordo dei mesi passati in famiglia; parla del parroco e dei sacerdoti di Cappadocia: don Antonio e don Achille; di suor Maddalena superiora delle suore Trinitarie del paese nativo e del grazioso Giustino; chiede di aver cura della sorella Caterina, poi le rassicura;’ Posso assicurarvi che non ho intenzione di restare qui tanto tempo, e forse quanto meno ve l’aspettate mi rivedrete ad augurarvi il ben trovato; pregate dunque e state di buon animo … il clima specialmente in questo anno fa desiderare la coperta imbottita, tale è stata la copiosità della neve e delle piogge, non sembra neppure primavera: la differenza del vostro clima con il nostro è pochissima. Oltre Marasc altri paesi e villaggi furono teatro del suo apostolato, come Don-Kalè, Mugiuk-Deresi Ain-Karem ecc. Queste località distavano dal centro da 5 a 10 ore di cammino a cavallo, per strade impervie, con scalata di montagne altissime. Talvolta la neve e la pioggia rendevano ancora più duro il viaggio. Il nostro P. Salvatore non si perdeva d’ animo; forte e coraggioso, si portava ove c’era bisogno, per predicare, amministrare i sacramenti e celebrare la S. Messa, la sua presenza era sempre gradita perché era cordiale e generoso, non sapeva dire mai di no e per il bene delle anime non si concedeva riposo. Per lui dice un teste oculare ‘’non esistevano distanze e disagi, oltre tutto gli piaceva molto viaggiare; il cavallo poi era l’amico fedele che gli permetteva di svolgere l’apostolato richiesto e di vedere genti nuove e nuovi paesi. Aveva comprato una doppietta in Italia e se l’era portata a Marasc anche per difendersi dalle bestie feroci durante i suoi numerosi viaggi; Nelle soste di questi viaggi di apostolato, o per distrarsi, P. Salvatore riusciva ad andare anche a caccia, riportando le bisacce ben piene di cacciagione. Rimproverato per queste distrazioni, rispose che se pure andava a caccia faceva però tante altre cose che il detrattore mai avrebbe immaginato. Dopo una permanenza di circa un anno ad Aintab, ritornò a Marasc ove fu eletto superiore e parroco. In questo quadriennio le doti di mente e di cuore di P. Salvatore e le sue attività, sorrette dalla piena maturità fisica e morale, si manifestarono e si concretizzarono in opere di rilievo sia nel campo spirituale che in quello materiale. Ma il 10 dicembre 1890 scrive al P. Custode ‘Ella ben deve conoscere come il colera ha infestato anche Marasc, da quaranta giorni domina con una violenza tale che raggiunge la cifra di 160 attacchi al giorno con fino a 78 decessi… anche la nostra piccola comunità latina è stata attaccata, una ventina di casi con tre decessi che rese cadaveri in otto dieci ore di tempo, tanto fu violento; ed io come ella ben sa, solo soletto, ho dovuto sgambettare come un postino di giorno e di notte per assisterli ma grazie a Dio finora nessuno è rimasto senza sacramenti e accompagnamento al cimitero. Alla sorella suor Maria Pia il 4 dicembre 1890 scrive: ’ Il Signore dà la lana secondo le stagioni; poiché oltre che mi conserva in ottima salute, in questi funesti giorni tale mi sentivo un coraggio, che l’andare presso il coleroso, toccarlo, amministrargli medicine, fargli frizioni, rivoltarlo ed altro in simili casi, sembravami cosa ordinaria, cosicché io che non aveva visto mai colera, invece di sbigottirmi, parea un vecchio soldato di battaglie, tanto mi sentiva in coraggio; ripeto che solamente il ministro della Chiesa cattolica, compenetrato dall’alto mistero che occupa, fidente in quel Dio che lo sostiene, sprezza i pericoli, e corre ad alleviare il misero fratello che tante volte si trova abbandonato anche dai suoi cari ’’. Con grande concorso di popolo e soddisfazione dei cattolici di Marasc, fu inaugurata il 13 giugno del 1894 la nuova cappella. Padre Sabatino durante la predica disse : Signore in questa tua nuova casa benedici anche Colui che l’ha edificata… vedi Signore, ogni pietra gli costò tante lacrime… Il nostro missionario restò molto commosso e pianse a questa mia sincera preghiera fatta per Lui ma subito rese grazie a Dio e all’intercessione di S. Antonio di Padova ai quali attribuiva questo successo; che a suo dire non poco avrebbe influito sull’avvenire della missione di Marasc e dintorni. La fabbrica della chiesa e l’acquisto della grande azienda agricola di Pazargek, gli causarono contrasti e sofferenze, dovuti all’incomprensione dei superiori e più all’invidia di qualche confratello che soffiò sul fuoco. Nel Capitolo tenuto a Gerusalemme nell’agosto del 1894 fu deposto da tutte le cariche e relegato a Mugiukderesi, uno sperduto villaggio a sei ore di cavallo da Marasc. Lui in una lettera rispose cosi ai suoi superiori:’Sono 4 anni che i superiori mi hanno affidato questa missione; grazie a Dio posso andare con la fronte alta e all’infuori di lettere di lode e approvazioni non ho altro ricevuto… e se i superiori conoscevano il mio irregolare diportamento perché non hanno fatto il loro dovere di correggermi ? Si temeva forse la mia ribellione? Ma viva Dio, sento di avere un po’ di coscienza, e di non appartenere alla casta di quei religiosi il cui movente è la propria volontà. Un passato di 21 anni in T. Santa, sotto 5 R.mi, 2 Presidenti Custodiali, 2 Delegati Apostolici, sono lì a provare quanto asserisco; ringrazio tutti questi miei cari confratelli: che il Signore l’illumimi, e a me conceda la pazienza e la rassegnazione>>. Siamo così arrivati all’estate del 1895. P. Salvatore è a Mugiukderesi, ove si è ritirato da un anno, svolge la sua attività di apostolo in mezzo ai fedeli ( circa 400 o 500 anime) che gli sono particolarmente affezionati e ne seguono gli insegnamenti e l’esempio. Ormai si è rassegnato alla volontà dei superiori ed ha accettato la destinazione a parroco di questo villaggio sperduto tra le montagne. Attende anche ai lavori dei campi, dovendo curare una grossa azienda agricola divisa in 63 poderi; è in continuo movimento per l’aratura, semina e mietitura; qui ha trasportato tutti i macchinari già acquistati per la tenuta di Pazargek. L’utima sua occupazione fu il trasporto dell’acqua da una sorgente sul monte, fino alla residenza del missionario, cosa che un suo predecessore non era riuscito a fare. Quando ormai con la grande azienda si era dato un lavoro ai cristiani; con la scuola poi si curava la loro istruzione ed educazione e con la presenza stabile di P. Salvatore si dava garanzia di ordine ed assistenza, come un uragano scoppiò la persecuzione che distrusse ogni cosa e stroncò tante vite umane. Molte esortazioni gli erano giunte dai confratelli P.Dionisio Stopponi e da P.Emanuele Trigo, di ritirarsi subito a Marasc prima che i passi dei monti fossero coperti di neve; Anche i Padri Francescani di Jenige-kalè mandarono per tre volte nello stesso giorno un messaggero a pregare il P.Salvatore di scappare con loro a Zeitun, ma egli per tre volte rispose: << Dove sono le pecore ivi deve essere il pastore>>. Ma solo quando gli riferirono che nella vicina città di Aintab la missione cattolica era stata saccheggiata e bruciata, prese la risoluzione di lasciare il convento per rifugiarsi sui monti vicini che conosceva molto bene poiché li aveva percorso negli spostamenti e nelle battute di caccia. Alla vigilia dell’arrivo dei soldati turchi, il 19 novembre 1895, P. Salvatore sellò il cavallo, riempì le bisacce e si apprestò a ritirarsi sui monti; ma fu allora che dalle case del villaggio accorse la gente e gli si fece d’attorno pregandolo e scongiurandolo a restare con loro; quella povera gente piangente e desolata pregava il sacerdote a non abbandonarla nella tempesta privandola anche dei conforti religiosi. A queste parole P. Salvatore scese da cavallo e fece ritorno in convento.“Non posso abbandonare le mie pecorelle; preferisco morire con loro, se è necessario”. Poco dopo giungeva un drappello di soldati ai quali egli si fece incontro con fare cortese e sorridente; in risposta si ebbe un colpo di baionetta che lo ferì ad una gamba. Giunse però il colonnello comandante il battaglione che calmò le acque. P. Salvatore potè così accogliere i soldati nel convento, mettendo a loro disposizione le derrate alimentari. Per prima cosa fece preparare un caffè, ma visto che i turchi non lo prendevano perché temevano fosse avvelenato, lui per primo ne sorbì una tazzina e cosi poi fecero pure gli ufficiali. Intanto aveva mandato un suo amico fidato Dykran, a sentire il bey ( capo mussulmano ) del paese per conoscere le vere intenzioni dei soldati. Questi fece ritorno la sera stessa ma non potè riferire a P. Salvatore perché chiuso in una stanza e guardato a vista dai soldati. Potè però vedere anche se da lontano il martire che zoppicava per la ferita ricevuta e che ancora sanguinava macchiando il pavimento della casa. Da quanto gli aveva confidato il bey del villaggio e da quanto aveva visto con i propri occhi, il messaggero capì che la morte di P. Salvatore era già segnata; approfittando della confusione, prima di notte, si allontanò dal villaggio e fuggi verso i monti. Dopo la sosta di qualche giorno nella residenza, i soldati turchi incendiarono e distrussero il convento e la chiesa e il 22 novembre 1895, venerdì e festa di S. Cecilia martire, dietro il battaglione in marcia, si vide una carovana di persone che, legate tra loro da una fune presa nel convento, lasciavano Mugiuk-deresi. Con questi 7 prigionieri c’era anche P. Salvatore che nella mattina li aveva radunati in chiesa ed aveva impartito loro l’assoluzione in articulo mortis, esortandoli ad essere fermi nella fede. Il nostro martire non potendo sostenere la marcia, causa la ferita, chiese una cavalcatura. Il colonnello rispondendo al Padre gli disse che per avere la vita salva bisognava che si facesse musulmano, il Padre guardò in silenzio. Dopo quasi due ore di cammino giunti al ponte detto del diavolo, sotto il quale scorre il ruscello ( Jalu ), i soldati invece di proseguire per Marasc, condussero il P. Salvatore e Compagni lungo la riva del fiume dove sorgeva un folto canneto; quivi fu dato l’ordine di sosta; il colonnello propose al P. Salvatore e Compagni di rinnegare la Fede di Cristo e di abbracciare quella di Maometto, ma al loro rifiuto verso mezzogiorno si consumò il sacrificio di queste vittime innocenti; i soldati si strinsero in cerchio intorno ai prigionieri legati con la corda. Per prima cosa si impose loro di rinnegare ancora una volta la fede cristiana per seguire Maometto. L’invito era già stato fatto a P. Salvatore sia prima che dopo l’inizio della marcia. Lui aveva risposto di essere un sacerdote cattolico, seguace e ministro di Gesù Cristo:

Giammai avrebbe rinnegato la propria fede: Mio Dio liberaci da questa tentazione, non accetterò mai di essere musulmano, al di fuori di Gesù Cristo, non presto fede a nessuno, sul luogo del martirio a chi lo esortava a farsi musulmano e così aver salva la vita, alzando le mani in preghiera diceva solo : Io credo a Cristo Signore, io non cambio la fede in Cristo con il vostro Maometto, sono sacerdote e credo solo a Gesù Cristo. Mentre lo colpivano, ai fedeli che erano con lui diceva: Figli miei non fatevi musulmani: questo mondo è passeggero. Le ultime parole furono: Figli miei affidiamoci a Cristo. Spirando fra le fiamme mormorò : Mio Dio mi raccomando a voi !!!. Il giorno stesso del martirio, 22 novembre del 1895, un soldato musulmano che aveva partecipato al massacro, meravigliato, confidava a persona fidata: << quel porco di prete ha preferito morire; non ha voluto rinnegare Gesù Cristo >>. Un altro soldato raccontando il fatto in famiglia diceva: << Come era solido e robusto quel frate!! Crivellato dalle nostre baionette e in mezzo alle fiamme del petrolio, il suo corpo, disteso a terra, saltellava ancora >>.Una ragazzina di nome Maria Balgi, di circa 10-12 anni, rapita dai soldati a Mugiuk-deresi potette assistere alla scena violenta del martirio e ne riferì i particolari. Restate dunque inascoltate le proposte di farsi musulmano per aver salva la vita, visto che sette cristiani seguivano P. Salvatore ed erano costanti nella fedeltà a Cristo Signore, con la tromba fu dato il segnale ed i soldati si avventarono sull’inerme grappolo di vite umane; a colpi di baionetta li uccisero tutti, l’uno dopo l’altro. Quando la strage fu compiuta, sui corpi ancora tremanti versarono del petrolio ( ne avevano portati due recipienti pieni : altra prova della volontà omicida) e diedero loro fuoco. Alte fiamme si alzarono verso il cielo precedute da un denso fumo nero; così in pochi minuti degli otto martiri non restarono che poche ossa bruciacchiate e brandelli di vesti annerite. I soldati Turchi scavarono allora una fossa vi calarono quei resti e li ricoprirono con terra e rami di albero. Compiuto il misfatto, ripresero la marcia, convinti che nessuno ne avrebbe saputo niente, perché il delitto era avvenuto in luogo remoto, in mezzo a un bosco. L’ inverno imminente poi con le piogge e la neve, avrebbe cancellato anche le poche visibili tracce. Ai sodati fu dato ordine di non rivelare a nessuno quanto era accaduto. Il diavolo però, dice un proverbio, fa le pentole ma non i coperchi. Non erano passati che pochi giorni e la notizia del martirio di P. Salvatore e dei sette compagni Armeni era di dominio pubblico, sia a Marasc che nei d’intorni come poi nei paesi d’oriente e di occidente. Fu P. Marcellino Nobili che in una sua lettera del 11 maggio del 1896 scrive al P. Custode : ‘’Sabato scorso, con la ragazzina Maria Balgidi di Mugiuk-deresi, che si trovò presente alla morte di P. Salvatore e Compagni, sono andato alla ricerca del luogo ove furono massacrati. La ragazzina, dopo alcune esitazioni, indicò che il luogo del massacro era in faccia a due case e che si vedeva una vigna e che vicino vi era un terreno mietuto. Una delle due persone che erano venute con me mi disse che un terreno mietuto era ad un quarto d’ora verso Nord; dopo mezz’ora di ricerche in una selva abbastanza folta, una delle persone trovò due ossi in un piccolo ruscello: me li mostrò e asseriva che erano ossi di braccio umano, li distingueva bene perché era solito seppellire i morti. Dopo un po’ mi mostrò anche un cespuglio bruciato e vicino la terra bruciata. Osservammo bene la terra bruciata, trovammo alcuni pezzetti di ossi bruciati e li prendemmo con noi. Chiamammo la ragazza e le facemmo notare che il terreno mietuto era alla nostra sinistra, in faccia si vedevano due case, e sopra la casa si vedeva una vigna. La ragazza mi rispose che precisamente questo era il luogo, e che mentre li massacravano e bruciavano, essa si trovava nel piccolo rialzo alla destra del luogo, a qualche minuto di distanza. Allora fummo certi di aver ritrovato il luogo e ritornammo a Mugiuk-deresi. La domenica mattina avvisata da noi, venne la Commissione, esaminò gli ossi e con alcuni uomini ritornammo sul luogo; gli mostrai il cespuglio bruciato e altri pezzetti di ossi; quindi si cominciò a cercare lungo il ruscello, e furono trovati molti altri ossi, pezzi di abiti bruciati e un pezzetto di cordone di lana bruciato di P. Salvatore; Non vi erano più dubbi il luogo del massacro era quello. Dopo aver raccolto altri residui di ossi, vesti, ecc ritornammo in paese’’. Nel terzo secolo dopo Cristo Tertulliano scriveva ‘’ il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani ‘’ Come visto, il 22 novembre 1895 fu versato il sangue innocente di P. Salvatore Lilli e di sette suoi parrocchiani Armeni: il loro martirio ottenga il dono della pace all’umanità traviata.


Ricerche effettuate da Mario Cosciotti estratte dal libro di Padre Salvatore Lilli O. F. M.
 
Nipote del Martire (Vita del Padre Salvatore Lilli Da Cappadocia)

Gerusalemme Tipografia dei PP. Francescani (21 gennaio 1947)

E dal libro di: Germano Cerafogli (BEATO SALVATORE LILLI DA CAPPADOCIA) (Roma 1982)



SANTA MESSA PER LA PROCLAMAZIONE DI 8 NUOVI BEATI
 
OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II
 
Basilica di San Pietro, 3 ottobre 1982

 
BEATIFICAZIONE DI PADRE SALVATORE LILLI E SETTE ARMENI

Cari fratelli e sorelle!


1. Grande è la gioia della Chiesa per l’elevazione agli onori degli altari di alcuni luminosi suoi figli: il Beato Salvatore Lilli, dei Frati Minori, un italiano e sette cristiani della Turchia Orientale (Armenia Minore), martiri della fede. È significativo che la Beatificazione del Padre Salvatore Lilli, missionario francescano della Custodia della Terra Santa e parroco di Mujuk-Deresi, avvenga proprio oggi, vigilia della festa di san Francesco d’Assisi. Nel settimo centenario della morte del Santo di Assisi, nel 1926, il mio predecessore Pio XI volle sottolineare l’unione che lega il Serafico san Francesco alla terra di Gesù, beatificando otto francescani della Custodia, uccisi a Damasco nel 1860. Oggi, nell’anno otto volte centenario della nascita di san Francesco, un altro suo figlio, anch’egli impegnato pastoralmente in terra d’Oriente, è elevato agli onori degli altari, insieme a sette suoi parrocchiani martiri.

2. La cronologia del beato Salvatore è semplice, ma ricca di fatti che attestano il suo grande amore a Dio ed ai fratelli; essa culmina col martirio che venne a coronare una vita di fedeltà alla vocazione francescana e missionaria. Dei sette Soci nel martirio conosciamo i nomi, le famiglie e l’ambiente di vita: erano umili contadini e ferventi cristiani, provenienti da una stirpe che ha conservato attraverso i secoli integra la propria fedeltà a Dio ed alla Chiesa, nonostante momenti difficili ed a volte anche drammatici. Fra quella gente umile il giovane missionario si immerse con dedizione totale, realizzando in breve tempo quanto poteva sembrare impensabile agli altri. Fondò tre nuovi villaggi per riunire i nuclei familiari dispersi, allo scopo di meglio proteggerli ed istruirli; provvide all’acquisto di un vasto terreno per dare un lavoro ed un pane a chi ne era privo e promosse con tenacia l’istruzione dei giovani. Soprattutto impresse un ritmo più intenso alla vita religiosa dei suoi parrocchiani, che si sentivano trascinati dal suo esempio, dalla sua pietà e dalla sua generosità; i suoi preferiti erano gli ammalati, i poveri, i bambini. Saggio consigliere e solerte promotore di opere sociali, era aperto a tutti: cattolici, ortodossi, musulmani ed a tutti sapeva offrire, col sorriso, il suo servizio; per questo era particolarmente amato dai suoi fedeli, stimato e rispettato dagli altri. Durante poi l’imperversare del colera, il suo apostolato si illuminò di carità eroica: fu nello stesso tempo sacerdote e medico. Incurante del contagio, passava di casa in casa assistendo moralmente e materialmente gli ammalati. In questa circostanza scrisse alla sorella, religiosa Trinitaria: “Mi sentivo un tale coraggio che l’andare presso il coleroso, soccorrerlo, amministrargli medicine, ecc., mi sembravano cose ordinarie”. E ne indicava la chiara motivazione: il sacerdote pieno di fede in Dio non teme i pericoli e “corre ad alleviare il misero fratello che tante volte si trova abbandonato dai suoi più cari” (Lettera alla sorella Suor Maria Pia, religiosa Trinitaria, 4 dicembre 1890).Quando insorsero con violenza i sintomi premonitori della tempesta che si avvicinava minacciosa, i confratelli esortarono il Padre Salvatore a riparare in luoghi più sicuri. Gli stessi abitanti della zona, preoccupati per la vita del loro Padre, insistettero perché si ponesse in salvo. La risposta di Padre Lilli fu calma e decisa: “Non posso abbandonare le mie pecorelle; preferisco morire con loro, se è necessario” (Positio super Martyrio, Summarium, teste III, ad art. 16, p. 36); e rimase nella stazione missionaria.
Il 19 novembre 1895, i militari entrarono nella casa parrocchiale e il comandante pose subito l’alternativa: o rinnegare Cristo, o morire. Chiara e ferma fu la risposta del sacerdote che dovette per questo subire una prima esplosione di violenza: alcuni colpi di baionetta che ne fecero scorrere il sangue. Tre giorni dopo, il religioso e sette suoi parrocchiani furono condotti via dalla truppa; marciarono per due ore; vicino ad un torrente furono fatti fermare ed il colonnello propose per l’ultima volta di scegliere fra l’abiura e la morte: “All’infuori di Cristo non riconosco alcuno”, disse il Padre. Non meno nobile fu la risposta degli altri Martiri: “Uccideteci, ma non rinnegheremo la nostra religione” (Ivi., teste V, p. 53 ad 8).Per primo fu ucciso il beato Salvatore, trafitto dalle baionette dei soldati: immediatamente dopo, gli altri sette subirono la medesima sorte.

3. Questo missionario francescano ed i suoi sette fedeli parlano con eloquenza incisiva al mondo di oggi: sono per tutti noi un salutare richiamo alla sostanza del cristianesimo. Quando le circostanze della vita ci pongono di fronte alle scelte fondamentali, fra valori terreni e valori eterni, gli otto Beati Martiri ci insegnano come si vive il Vangelo, anche nelle contingenze più difficili. Il riconoscere Gesù Cristo come Maestro e Redentore implica l’accettazione piena di tutte le conseguenze che nella vita derivano da tale atto di fede. I Martiri, elevati oggi agli onori degli altari, vanno onorari imitandone l’esempio di fortezza e di amore a Cristo. La loro testimonianza e la grazia che li ha assistiti sono per noi motivo di coraggio e di speranza: ci assicurano che è possibile, di fronte alle più ardue difficoltà, seguire la legge di Dio e superare gli ostacoli che si incontrano nel viverla e metterla in pratica. I nostri beati Martiri hanno vissuto in prima persona le parole rivolte da Gesù ai suoi discepoli: “Chiunque mi renderà testimonianza davanti agli uomini, gli renderò testimonianza davanti al Padre mio che è nei cieli” (Mt 10,32). Il beato Salvatore ed i suoi compagni hanno subìto la morte per rendere la loro eroica testimonianza a Cristo di fronte al mondo: il Signore ha reso loro la sua testimonianza davanti al Padre con la vita eterna. Questa lezione, sia di sprone a tutti i battezzati per una vita cristiana sempre più coerente e sempre più generosa al servizio del Signore, della Chiesa e dell’uomo.
Secondo l’auspicio di Giovanni Paolo II ‘’ Non ci siano più guerre né popoli né minoranze oppresse, esuli e senza patria. ‘’



Grazie ottenute per intercessione del Martire P. Salvatore Lilli da Cappadocia.

Tratte dal libro P.Salvatore Lilli O.F.M. (nipote del martire)

Gerusalemme tipografia dei PP. Francescani 21 gennaio 1947



A ) Guarigione del Sig. Di Fabio Federico spedito dai medici.

Ecco come la racconta il suo fratello Angelo:

<< Il sottoscritto Angelo Di Fabio fu Antonio, nato a Roma il 12 gennaio 1887, previo il giuramento sul S. Vangelo, espone quanto segue: Il 25 aprile u.s. per un’ulcera allo stomaco, che lo tormentava da parecchio tempo, mio fratello Federico di anni 45 dovè sottoporsi ad un’operazione chirurgica. L‘atto operatorio fu eseguito dal Prof. Fantozzi, e fin dal primo momento per complicanze verificatesi, il caso si presentò grave. Esso si fece ancora più grave dopo sette, otto giorni, essendo sopravvenuta la peritonite. Il malato non tollerava più nemmeno un dito d’acqua, e delle febbri altissime continue non gli davano un minuto di riposo. Il Prof. Ficacci, Direttore dell’Ospedale S.Spirito di Roma chiamato a consulto, dichiarò apertamente che la scienza medica ormai non poteva più nulla, anche perché nel frattempo era comparso il singhiozzo, sintomo estremo della peritonite, che per solito appare 24 ore prima della morte. In preda alla costernazione più viva, noi parenti invocammo l’aiuto Divino, facendo fare tridui a S. Rita, a S. Antonio e a Maria SS.ma. La notte dell’ XI maggio u.s. fu estremamente grave: per ben due volte la catastrofe sembrò imminente: Il giorno successivo le condizioni si aggravarono ancora; nel primo pomeriggio la febbre che per solito aumentava nella serata, quel giorno era già salita a 45. In tutti era la convinzione, confermata dal Prof. Ficacci tornato a visitare il malato, che questi non avrebbe potuto superare la notte. Fu in questo momento che da una pia persona, che ne era in possesso, ci fu recapitato un rosario appartenuto al Missionario Francescano Padre Salvatore Lilli da Cappadocia, martirizzato nel 1895 nell’ Armenia Minore. Previa fervida invocazione a questo Martire, ponemmo la reliquia al collo del malato il quale, dopo poco tempo, cominciò a riposare. Un sonno grave, lo tenne tranquillo per tutta la notte, e al mattino seguente, tra la meraviglia e l’ammirazione di tutti, compresi i medici, per il fatto prodigioso, si svegliò completamente senza febbre. Esso era fuori pericolo. Questa repentina guarigione non poteva non essere chiamata miracolosa: e per noi che toccammo con mano l’immediato senso di benessere sopravvenuto al malato, non appena messo al collo il rosario anzidetto, e che vedemmo in poco tempo risolversi la sua mortale malattia, non ci è ombra di dubbio che il miracolo sia stato operato da Dio per intercessione del suo glorioso Martire P. Salvatore Lilli da Cappadocia, al quale ancora una volta, con devota venerazione e dal profondo del cuore, manifestiamo la nostra gratitudine per la grazia ricevuta >>.

In fede Roma li 20 giugno 1929 Angelo Di Fabio (Roma, via del ricovero, XI)

Testi : Italia Antonelli moglie del miracolato

Irma Antonelli cognata del miracolato


Relazione del Medico curante confermata dal Medico chiamato a consulto:

<<Il 24 aprile dell’anno scorso entrò in casa di salute di Via di Col di Lana in Roma, il Sig. Di Fabio Federico per esservi operato il dì seguente di laparotomia per ulcera dello stomaco. I primi sette giorni dopo l’atto operativo passarono abbastanza bene per l’infermo il quale si nutriva leggermente ma regolarmente. All’ottavo giorno s’iniziò una febbre che si andò man mano facendosi sempre più alta fino a 40 gradi e si accompagnò nei giorni seguenti con diarrea profusa. Il giorno 8 maggio comparvero netti sintomi di peritonite (vomito, meteorismo, dolorabilità dell’addome …). Fu chiamato a consulto il Prof. Luigi Ficacci il quale confermò la diagnosi, ritenne il caso grave e fece prognosi molto riservata. L’ XI maggio lo stato del Di Fabio peggiorò: egli presentava facies peritonica, polso frequente, filisomme, sudori profusi, vomito fecativo. Nuovamente chiamato il Prof. Ficacci, dichiarò il caso disperato e non ritenne opportuno alcun altro sussidio terapeutico; Il giorno 12 il malato era agonizzante. Durante la notte tra il 12 e il 13 maggio, con sudorazione profusa, l’infermo cominciò a mostrare qualche miglioramento nelle sue condizioni generali, e la mattina noi medici curanti insperatamente trovammo il Di Fabio talmente cambiato nelle sue condizioni generali e locali da giudicarlo fuori pericolo, e d’allora s’iniziò la convalescenza la quale durò circa un mese. Posso attestare che la natura del male era tale che neppure con le cure fatte si poteva pensare ad un cambiamento così rapido>>.
In fede : Velletri 13 marzo 1930 F.to Dott. Pietro Fantozzi (Direttore Ospedale Civile)
Visto per la legalizzazione della firma del Sig. Fantozzi Pietro medico-chirurgo
 
Il Podestà : F.to Mammuccari
 
Si conferma quanto sopra Dott. Prof. Luigi Ficacci




B ) Guarigione del Sig. Ferrazza Angelico fu Raffaele (da ragadi senza atto operativo)

Ecco come riferisce la sua signora Assunta Domenichelli:

<<Io sottoscritta sento il dovere di rendere pubbliche grazie, al Martire Padre Salvatore Lilli da Cappadocia, per una grazia segnalatissima fatta a favore di mio marito, affetto da ragadi a l’ano che atrocemente lo tormentavano. Il Medico-Chirurgo Prof. Luigi Sironi riteneva indispensabile l’operazione, e venerdì 19 gennaio 1929 fissò che il lunedì prossimo si fosse trasportato all’ Ospedale S. Carlo in Piazza S. Marta per operarlo il giorno stesso. Uscito il dottore da casa, telefonai al cugino di mio marito Avv. Francesco Ferrazza per avvisarlo della decisione presa dal Dottore a riguardo di mio marito e venutolo subito a visitare, vedendoci tanto impressionati, ci dissuase dall’ atto operativo e ci esortò ad aver fiducia nel Martire P. Salvatore Lilli da Cappadocia rassicurandoci che con questo mezzo l’operazione non si sarebbe dovuta più fare. Il giorno seguente tornò L’Avv. Ferrazza portandoci una corona rilegata dal Martire P. Salvatore Lilli insieme ad una Lettera Autografa del Martire, scritta nel giorno della sua Consacrazione Sacerdotale, ripetendoci che con questa divozione sicuramente saremmo stati risparmiati da tante pene. Di fatti noi pregammo col massimo fervore il Martire, implorando la desiderata grazia. Il lunedì tornò il Dottore, ma mio marito aveva tanto migliorato che disse non essere più in condizione di doversi operare. Non solo, ma quale meraviglia quando dopo 5 o 6 giorni lo rivedemmo tornare in campagna, e cavalcare da mattina a sera come era sua abitudine, e non soltanto erano cessati gli spasimi atroci, ma era completamente guarito. Alla nostra affermazione di guarigione il Dottore si è mostrato diffidente, dicendoci che non può essere guarito perché non si è operato, e che le ragadi si sarebbero riprodotte. Ma noi purtroppo possiamo giurare di essere stato curato dalla mano del Martire P. Salvatore Lilli da Cappadocia a cui con fede ardente ci rivolgemmo; e poi ora è trascorso già un anno e mio marito non è stato più tormentato, né le ragadi sono più riapparse>>.

Roma 19 febbraio 1930 in fede: Assunta Ferrazza

 

Preghiera per ottenere le grazie mercè lintercessione del servo di Dio:

Beato Salvatore Lilli
O Gesù, Glorificatore dei Vostri Servi fedeli, io Vi prego caldamente di manifestare la gloria del Vostro Martire P. Salvatore, affinché La S. Chiesa possa presto proclamarla solennemente, e di concedermi per la di lui intercessione la grazia … ( si esprima la grazia ) che con tutta fiducia Vi domando… 
Un Pater, Ave e Gloria.
O Gesù, Pastore supremo delle anime, Voi che per la loro salvezza avete dato tutto il Vostro Sangue, accettate l’offerta ch’io vi faccio di tutte le privazioni, gli stenti e i sacrifizi che a prò delle medesime a sofferto il Vostro Servo P. Salvatore durante il suo lungo e fecondo apostolato; e concedetemi per la sua intercessione la grazia domandata..… 
Un Pater, Ave e Gloria. 
O Gesù, Redentore amabilissimo, per gli strazi da Voi sofferti sulla Croce, io sopporto ben 
volentieri le pene della vita presente, e, unite a quelle che soffri nel suo Martirio il Vostro 
Servo P. Salvatore, le offro a Voi pregandovi di concedermi per la di Lui intercessione la grazia
 sospirata…Un Pater, Ave, e Gloria.

Avvertenza: Tutti coloro che riceveranno dal Signore grazie speciali per l’intercessione del servo di Dio, sono pregati di notificarle:

AL M. R. P. FORTUNATO SCIPIONI
POSTULATORE GENERALE DEI FRATI MINORI COLLEGIO DI SAN ANTONIO
VIA MERULANA, 124 ROMA

La Corona MIRACOLOSA appartenuta al Beato Salvatore Lilli da Cappadocia, consegnata ai parenti dopo la sua morte:










































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